Dalla parte degli ITP

L’annosa questione degli insegnanti tecnico-pratici

di Gino Vespa

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mercoledì, 19 ottobre 2011

Le sperimentazioni e le successive innovazioni ordinamentali  degli anni ’80 (tra cui Progetto ’92, che ha totalmente riconfigurato l’offerta formativa degli Istituti Professionali) e quelle successive degli anni ‘90 che hanno investito gli Istituti Tecnici (Sirio, Aliforte, Cerere, Igea, etc.), hanno assegnato un ruolo, sempre più marginale, agli insegnamenti di laboratorio, di cui sono titolari gli Insegnanti Tecnico Pratici.

Da un lato, infatti, iniziava l’era della contrazione del mercato del lavoro e della complessa gestione dell’esubero del personale, su cui era più difficile individuare forme di riconversione,

laddove non fosse stata presente una solida cultura di base, sulla quale innestare micro processi di riconversione e di nuova specializzazione, in piena sintonia con le nuove professioni emergenti, che consentivano un ricollocamento di coloro che avevano perso il proprio lavoro.

Dall’altra le Regioni “scalpitavano”, perché “rivendicavano” il diritto alla piena applicazione dell’allora vigente art. 117 della Costituzione, che affidava loro la esclusiva competenza in materia di Formazione Professionale e sulla quale vi era anche un vero interesse di tipo economico.

Invero, lo Stato, negli anni ’60, con un “escamotage” meramente denominativo, aveva istituito la cosiddetta “Istruzione Professionale”, intervenendo su un settore allora trascurato e “non appetibile” da parte degli Enti Locali.

Aveva effettivamente accentrato a sé questo tipo di intervento formativo, fortemente  sviluppatosi nel dopoguerra, quando le industrie avevano bisogno di manodopera, sia perché impegnate nella ricostruzione del Paese, sia perché rappresentavano il vero “sfogo”, di quanti “scappavano” dalle campagne e creavano i nuovi insediamenti urbani e lo sviluppo delle città già esistenti.

E a fine degli anni ’60, secondo la conquista del principio di diffusione degli studi e di non preclusione di nessuna delle opportunità formativa, anche per le classi più deboli, il biennio professionale, già divenuto triennio, veniva ulteriormente trasformato in quinquennio (ferma restando la qualifica triennale) con l’istituzione di un ulteriore “biennio post qualifica”, così consentendo agli allievi degli Istituti Professionali di Stato anche l’accesso all’Università.

Negli anni ’80, nascevano, però,  anche le prime richieste di decentramento, secondo le quali il “cono” che vedeva al vertice lo Stato –“invadente” ed “accentratore” rispetto alle Autonomie Locali-, doveva essere “sovvertito”,  per mettervi all’apice gli Enti Locali, ritenuti più vicini al popolo, che avrebbe dovuto governarsi in maniera più autonoma e per questo più “sovrana”.

Alla fine degli anni ’80, tali istanze, che venivano percepite dal potere politico sempre più insistenti, producono i primi atti significativi a livello legislativo: vale la pena ricordare, ad esempio,  il Decreto Legislativo n. 112,  del 1998 che, anche per la scuola, riafferma e sviluppa l’applicazione dell’allora vigente art. 117 della Costituzione,  non ancora modificata.

La Legge n. 3, del 2001, avrebbe definitivamente modificato la Costituzione, nel senso sopra descritto, per gli Istituti Professionali così definitivamente precludendo la titolarità al rilascio delle qualifiche professionali, di cui attualmente ancora pur si fanno carico, ma solo per specifico accordo con le Regioni, titolari della competenza.

Sono quindi nate nuove intese –sulla base di indicazioni della Conferenza Unificata Stato-Regioni-,  per tramite delle quali i due sistemi di formazione attualmente si “incontrano”, con possibili “transiti” dall’uno all’altro sistema, in una logica di riconoscimento  del Credito Formativo e della contigua delega agli Istituti Professionali, da parte delle Regioni, al rilascio del titolo di qualifica.

Ovviamente, nessuno sa dire quanto questa fase transitoria duri e che cosa succederà successivamente: proprio per questo è bene parlarne ed affrontare il problema, prima che “scoppi” nella sua durezza.

Parimenti, nessuno è in grado di prevedere i riflessi sul personale, in particolare sugli ITP, che continuamente vedono contrarsi  il proprio organico –ad ogni nuova riforma, un nuovo “taglio”-, né sembra che le Regioni, in cui pure è in capo la questione, sentano la necessità di intervenire, a proprio costo, su  “rinforzi” degli insegnamenti di laboratorio, che pur sono stati richiesti dalle Istituzioni Scolastiche, per consentire un’uniformità di competenze (di laboratorio) tra i due sistemi, che renda “omologabili” i titoli di qualifica professionale, indipendentemente se rilasciati dalle Regioni ovvero dall’Istruzione Professionale, stanti i due sistemi di formazione del tutto integrabili, ai fini lavorativi.

Certo è che, al momento, insiste un qualificato esubero nazionale degli Insegnanti Tecnico Pratici titolari della “Tabella C, di cui al D. M. 39/98” che, sommata al sovrannumero dei colleghi diplomati degli insegnamenti “A075 e A076 –Laboratorio Trattamento Testi -per intenderci- della Tabella A”, supera le 2.000 unità.

Ed il fenomeno, purtroppo, pare destinato ad implementarsi, poste le “molto discutibili” scelte politiche di contrazione dell’organico (che qui non è il caso di trattare!), che immancabilmente si avverano, ad ogni successiva rivisitazione dell’ordinamento.

Il Sindacato quindi, ha il diritto ed il dovere di porre il problema e, magari, anche di suggerire ipotetiche soluzioni, anche che afferiscono alla riconversione, sempreché l’istituto si realizzi “a domanda” degli interessati!

Vi sono molti di questi colleghi, ad esempio, che chiedono di transitare -essendo laureati- sugli insegnamenti della Tabella  A: è quindi da superarsi il problema della mancata abilitazione (che in questo caso assume l’aspetto di una vera e propria riconversione gestibile anche a livello “interno”), che preclude la loro stabilizzazione e li obbliga a partecipare, a domanda, alle sole operazioni di mobilità annuale!

Molti altri, aspirano ad una “riconversione” sull’insegnamento di sostegno… Ma non posseggono il titolo di specializzazione, che da anni è impossibile acquisire!

Un’Amministrazione seria, questi problemi li deve affronta e risolvere…

Ed il Sindacato non mancherà di fare la propria parte, soprattutto quando, come nell’insegnamento di sostegno, non sembrano esservi “contro interessati”.

Un’operazione di questo tipo, a domanda, non necessariamente ricade sui colleghi soprannumerari, ma questi possono essere pienamente re-inseriti, ove si interessino le classi di concorso in esubero e si consenta di “defluire”, da parte di chi intenda farlo.

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